Sri Lanka, Lesotho, Islanda e altri piccoli paesi che mirano a diventare grandi pionieri della cannabis

  • L’industria della cannabis è in crescita continua e si presenta come un orizzonte molto promettente per determinati paesi che, per le loro dimensioni, non vengono considerati sulla scena internazionale.
  • Dall’Asia fino ai Caraibi, la regolarizzazione del mercato della cannabis medicinale si sta facendo strada in piccole nazioni che seguono molto da vicino lo sviluppo sociale ed economico vissuto dagli Stati Uniti, dove la domanda di cannabis legale continua ad aumentare.
  • La marijuana medicinale progredisce anche in Africa, con Lesotho come principale produttore legale e catalizzatore degli investimenti e del dibattito nei paesi confinanti.

L'onda di legalizzazione che attraversa gli Stati Uniti, dove la marijuana medicinale è stata decriminalizzata in più della metà del territorio, si sta rivelando un vero e proprio stimolo per diverse economie, che vedono nella produzione ed esportazione di cannabis una grande opportunità di crescita. Un interesse che si è esteso a diversi parlamenti del mondo ma che paradossalmente tende a tradursi nella legalizzazione della coltivazione destinata all'esportazione e non tanto nella decriminalizzazione del consumo e nella vendita interni.

In base alle stime di studi di mercato quali The Arcview Report, l'industria della cannabis statunitense crescerà del 30% entro il 2020, un boom che non è passato inosservato ai paesi in via di sviluppo e neanche a quelli più avanzati. Così, favorito dalle condizioni climatiche, il mercato legale della cannabis si sta assestando in zone quali l'Africa meridionale, piccole isole dei Caraibi o il cuore dell'Oceano Indiano. Un processo meno mediatico rispetto a quello europeo o americano ma che sta comunque sollevando l'interesse di investitori di tutto il mondo, trasformando piccole nazioni in leader del settore all'interno delle loro rispettive regioni.

Sri Lanka, dalla tradizione all'esportazione massiccia

Noto anche come 'la lacrima dell'India', lo Sri Lanka è un'isola dal clima tropicale con lunghe stagioni di coltivazione e fioritura per diverse specie vegetali, tra cui la cannabis. Ubicato nell'Oceano Indiano, in piena Via della Seta, il paese è stato fonte storica di risorse naturali e strategiche.

Una posizione che favorì anche la proliferazione della cannabis, che fu introdotta nell'isola tramite il commercio antico, diventando subito un elemento fondamentale della medicina ayurvedica, originaria dell'India, e anche una delle sostanze ricreative più popolari del paese.

Sorprendono quindi l'intransigenza verso il consumo e il possesso, così come le lunghe pene detentive previste per il traffico. Dal 2009, gli arresti e i sequestri sono saliti alle stelle, un approccio da parte del governo che si scontra con gli interessi del Ministero di Medicina Indigena e del Dipartimento di Ayurveda, sostenitori storici del diritto dei singalesi ad utilizzare la cannabis nel modo tradizionale. Infatti, i medici e farmacisti ayurvedici stessi elaborano preparazioni tradizionali a base di cannabis avvalendosi delle piante sequestrate, che gli vengono donate dal governo per scopi medicinali.

I medici nativi, però, si lamentano del cattivo stato di conservazione in cui ricevono le piante, spesso più di cinque anni dopo essere state sequestrate e, dunque, con minori proprietà medicinali. In ogni caso, la situazione sembra essere cambiata appena qualche mese fa in seguito alla decisione del governo di stabilire la sua prima coltivazione legale, una piantagione di circa 400 ettari a sud della capitale Colombo con una produzione stimata di 25 tonnellate all'anno volta a soddisfare la domanda di cannabis medicinale del Ministero della Sanità, ma soprattutto quella dell'industria farmaceutica e della cannabis delle principali potenze del mondo che si stanno aprendo alla legalizzazione, tra cui gli Stati Uniti.

I Caraibi cercano di posizionarsi sul mercato

Nel corso degli ultimi quattro anni, il dibattito sulla legalizzazione si è intensificato anche nella Comunità caraibica (Caricom), dove gli stati insulari cercano di fare fronte comune nell'affrontare la questione. Tutto è parte di un percorso iniziato nel 2015 dalla Giamaica, che prese l'iniziativa a livello regionale decriminalizzando il consumo e la coltivazione di ciò che è considerato un prodotto nazionale e culturale: la marijuana. Tra le misure adottate, la creazione di un organismo per il rilascio di licenze di coltivazione e distribuzione di cannabis per scopo medicinale, religioso e scientifico.

Considerato lo status della Giamaica come grande esportatore di cannabis illegale negli Stati Uniti, il nuovo quadro normativo, che prevede lo sviluppo dei settori della cannabis, della canapa e dei nutraceutici (alimenti con proprietà medicinali), è anche un modo di combattere il narcotraffico. Un'iniziativa emulata poco dopo da Antigua e Barbuda, che nel 2016 approvò una proposta di legge simile contribuendo a portare la questione della legalizzazione all'ordine del giorno della Conferenza dei capi di stato del Caricom, il principale forum decisionale della regione e che ora sta affrontando gli aspetti sociali, economici, sanitari e legali della marijuana con le diverse parti interessate dei paesi che compongono l'unione.

Ad eccezione di Cuba, la cannabis è estremamente diffusa nei Caraibi, una situazione motivata fondamentalmente da ragioni storiche: da una parte, i lavoratori che venivano dall'India ai tempi dell'Impero britannico e che portavano il 'ganja' con loro per rilassarsi dopo le lunghe giornate di lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero e, dall'altra, la sempre maggiore presenza, sin dalla comparsa del movimento negli anni Trenta, del rastafarianesimo e della sua devozione per la cannabis.

Si tratta dunque di un momento molto interessante per la regione, dove piccole isole quali Belize e le Barbados cercano di seguire le orme della Giamaica con processi di regolamentazione simili volti a stimolare gli investimenti in un settore che sembra trovarsi molto a suo agio nel clima tropicale di questi paesi.

Lesotho, un punto di riferimento per l'Africa

Secondo un rapporto dell'ONU, il 25% della produzione mondiale di cannabis avviene in Africa, il continente con la più alta concentrazione di piantagioni al mondo. E nonostante le coltivazioni più famose siano quelle di paesi settentrionali quali il Marocco, la cannabis è estremamente diffusa anche in Africa meridionale (Sudafrica, Swaziland, Lesotho, Malawi e Zambia). Infatti, il primo paese ad essersi interessato alle possibilità di futuro che offre il settore è stato il Lesotho, un piccolo stato montuoso del sud del continente.

Così, la scorsa estate l'impresa sudafricana di preparati botanici Verve Dynamics otteneva la sua prima licenza per la coltivazione di cannabis medicinale in Lesotho, dove potrà effettuare anche attività di ricerca nonché vendere derivati terapeutici. Il paese si posiziona così all'avanguardia dello sviluppo del settore nel continente, con attrezzature di estrazione di ultima generazione e coltivazioni con un'ampia varietà di ceppi Sativa. Nel frattempo, i paesi vicini quali il Malawi o il Swaziland seguono molto da vicino quanto avviene in Lesotho ed esortano i loro governi ad avviare il dibattito sulla legalizzazione allo scopo di promuovere l'economia locale. Non a caso, questi primi passi verso la liberalizzazione compiuti da regioni lontane dai riflettori mediatici dell'Occidente stanno contribuendo a portare il dibattito su un altro piano, nel quale la cannabis viene considerata come un progetto di sviluppo economico delle zone depresse.

Islanda, uno specchio in cui guardarsi

Anche il governo di un paese piccolo come l'Islanda, che si trova agli antipodi climatici ed economici dei precedenti, sta compiendo passi importanti nella stessa direzione. Per il momento, un progetto di legge per la legalizzazione della produzione, distribuzione e vendita di cannabis, compreso il commercio al dettaglio su piccola scala e la vendita in ristoranti specializzati è all'esame del parlamento, che sta valutando anche la decriminalizzazione del consumo.

Una questione che assume particolare importanze sotto l'ottica del World Drug Report dell'ONU, secondo il quale nel 2015 l'Islanda era il paese con il più alto numero di consumatori di cannabis al mondo (con una prevalenza annua del 18,30% della popolazione), e ciò a prescindere dalle elevate multe previste dalle leggi per la coltivazione, la vendita e il consumo, che rendono l'accesso alla pianta particolarmente complicato.

L'Islanda, naturalmente, non era molto lusingata da questa sua nuova reputazione, e parlava di dati incompleti relativi soltanto ad una piccola parte della popolazione. Questo, però, non ha impedito al paese di mettersi al lavoro per diventare un piccolo specchio in cui il resto del mondo possa guardarsi al momento di regolarizzare un consumo responsabili tra i cittadini.

Ovviamente, queste piccole regioni hanno ancora tanta strada da percorrere prima di poter fruire di una solida rete commerciale, ma una cosa è certa: grazie alle loro iniziative pionieristiche stanno riuscendo a portare il dibattito nei parlamenti delle nazioni confinanti. Certamente, un'ottima notizia sia per l'industria che per la comunità della cannabis a livello mondiale.

09/03/2018

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